DOTTORE O MEDICO?

Negli ultimi mesi vicende che hanno toccato persone a me care e alcuni dei miei pazienti mi hanno fatto riflettere sul ruolo del medico, ed è stata una riflessione amara.

La figura del “dottore” di un tempo capace di conoscere la persona, interessarsi anche oltre il momento della visita, capace di studiare il caso tenendo conto del contesto di vita, delle sue relazioni, del suo lavoro, della sua vita, capace di darti un consiglio al di là del disturbo e spesso consolarti e darti una pacca sulla spalla. Questo “il mio dottore” oggi è in via di estinzione (come suggerisce Giorgio Cosmacini nel suo ultimo libro)

Conoscenze, lo sviluppo della farmacologia e della tecnologia ci hanno dato armi davvero potenti per combattere le malattie e, spesso, vincerle, ma l’allungamento dell’aspettativa di vita insieme ad una serie di abitudini troppo spesso poco sane ed equilibrate hanno favorito la presenza di malattie croniche, che spesso devono essere gestire più che guarite. Sotto questa lente di ingrandimento possiamo comprendere come il medico dell’era moderna debba sì avere una forte conoscenza tecnica e scientifica, aggiornandosi con costanza, ma deve riappropriarsi del suo lato umano, della pacca sulla spalla, del tornare a prendersi a cuore i casi complessi, del sorridere, dell’essere disponibile al di là della fine della visita o degli orari delle telefonate, insomma del tornare  “a prendersi carico della persona ammalata”

Se abbiamo un problema semplice, per cui esistono protocolli di diagnosi e cura precisi, allora basta una visita per formulare la diagnosi e impostare una cura efficace, ma quando i casi sono complessi, quando non si riesce a comprendere chiaramente la natura del problema, quando il tempo passa e il corpo e la mente si adattano progressivamente alla situazione di disagio irrisolto, allora il moderno pellegrinare da un esperto all’altro, ricevendo ipotesi diagnostiche, possibilità terapeutiche, prescrizioni di esami strumentali, e, quel che è peggio, il continuo rimando ad altri specialisti, diventa fonte di profondo scoraggiamento.

Nel campo della salute mentale la situazione è ancor più delicata perché, quasi sempre, la decisione si basa sul colloquio con il paziente in quanto non esistono ancora test di laboratorio o esami strumentali che ci permettano di fare diagnosi.  La diagnosi e la cura di chi soffre per un disturbo mentale dipende sia dalle capacità diagnostiche e terapeutiche che dall’aspetto umano, capace di aiutare la persona che soffre ad andare avanti con le cure nonostante manchino risultati all’inizio, a credere nonostante fallimenti terapeutici, a non scoraggiarsi anche quando diversi professionisti fanno diagnosi diverse, ad accettare il rischio di ricadute e, talvolta purtroppo, ad accettare il miglioramento senza guarigione.

Se è vero che spesso si vince e diagnosi e terapia sono un processo semplice e chiaro con risultati prevedibili (per esempio in moltissimi casi di disturbo di panico), è anche vero che in altri casi dove molti disturbi sembrano incrociarsi in una matassa incomprensibile, dove l’effetto atteso di un farmaco non si verifica, dove si ha la sensazione che il fantasma del disturbo non ci lascerà mai, dove dobbiamo subire effetti collaterali senza adeguati benefici, in questi casi non siamo di fronte una guerra lampo contro la malattia, ma la guerra si trasforma in guerriglia, la speranza in rassegnazione, la vita in un calvario. In questi casi, la competenza clinica e scientifica non bastano, ma il “Medico” deve trasformarsi in “Dottore”, “Il Mio Dottore”, specialista o non, capace di prendersi cura di me e della mia sofferenza, capace di studiare il mio disturbo oltre la visita, capace di assumersi la responsabilità di prendere decisioni e, talvolta, prenderci per mano, incoraggiandoci.

Pensando alla mia attività con i pazienti, mi rendo conto del mio profondo desiderio e la necessità di essere il loro dottore, per esempio dando la mia totale disponibilità telefonica e via email, ma di agire troppo spesso da semplice medico.

Il vero problema oggi è coniugare l’enorme mole delle informazioni nuove che vengono dalle neuroscienze (pensare che soltanto per essere aggiornati solo sul tema dell’ansia dovrei leggere 34 articoli scientifici ogni giorno!) e le richieste sempre più insistenti di vedere un numero elevato di persone che soffrono con l’attenzione al singolo caso, alla singola persona che soffre e al suo mondo. Se è verissimo che spesso la diagnosi può essere rapida e la terapia azzeccata subito, ci sono molti casi la cui complessità meriterebbe uno studio approfondito del caso e un’attenzione particolare alla persona: la gestione del tempo e le richieste della società moderna ostacolano questa possibilità insieme, forse, alla nostra debolezza come persone nell’imporre ciò che è giusto su ciò che è opportuno.

Forse la soluzione del futuro, che coniughi l’elevata capacità tecnica con la consapevolezza che ogni paziente è una persona e non una malattia, potrà nascere dalla spinta verso la cosiddetta “medicina personalizzata” , cioè una medicina (e una psichiatria) che cerchi di costruire diagnosi su misura e terapie specifiche per ogni singola persona nella globalità con le sue caratteristiche, genetiche, ambientali, sintomatologiche, mediche, relazionali e, perché no, spirituali. Al riguardo la ricerca sta viaggiano spedita…

“Lavori in corso……” questo il cartello che metterei sulla porta della mia professione. continuerò a lavorare per diventare il Vostro Dottore e non semplicemente un medico……