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12/10/2025

Ansia e Depressione: Perché "Stare Meglio" Non Basta. La mia analisi, il giorno dopo la Giornata Mondiale della Salute Mentale.

L'altroieri, come ogni anno, abbiamo celebrato la Giornata Mondiale della Salute Mentale. Oggi, a riflettori spenti, è il momento dell'analisi. I numeri dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sono un monito severo: oltre un miliardo di persone non possiede una salute mentale e, tra queste, quasi 700 milioni che soffrono di disturbi depressivi e ansiosi non riescono a ritrovare un benessere completo.

Molti pazienti, nonostante le cure, non guariscono davvero. Si sentono dire "stai meglio di prima", ma la loro vita resta limitata. La prigione della malattia mentale allarga i suoi confini ma non scompare. Se questo può essere comprensibile in alcune patologie psicotiche, è inaccettabile per i disturbi d'ansia e depressivi.

Dopo oltre trent'anni di pratica clinica e ricerca, ho identificato due ostacoli fondamentali che impediscono a milioni di persone di tornare a essere libere.

1. Il primo ostacolo: La crisi della diagnosi

Il primo problema è una diffusa superficialità diagnostica, che nasce da una carente conoscenza della psicopatologia. Ci nascondiamo troppo spesso dietro etichette vaghe come la "Sindrome Ansioso-Depressiva", una non-diagnosi che si traduce in terapie generiche e poco efficaci. Il risultato? Persone che stanno "meno peggio", ma non certo bene.

La realtà clinica è più complessa e richiede una distinzione netta:

  • Tristezza non è Depressione: Molte persone lamentano un calo dell'umore, ma non soffrono di depressione patologica. Sono demoralizzate, esaurite da fattori ambientali. Queste persone non hanno bisogno primariamente di un farmaco, ma di un supporto psicologico mirato o, talvolta, di un cambiamento nelle loro condizioni di vita.
  • La vera Depressione va riconosciuta: Al contrario, troppe persone con una depressione patologica non vengono diagnosticate correttamente e non ricevono il trattamento farmacologico che sarebbe per loro cruciale.
  • Ansia non è solo Ansia: L'ansia, anche intensa, può essere una normale reazione di difesa. Il nostro compito è distinguere questa attivazione fisiologica dall'ansia patologica che limita la vita, identificando con precisione se siamo di fronte ad attacchi di panico, ansia sociale, fobie o un disturbo ossessivo. Un umore basso, in questi casi, non è una depressione concomitante, ma la sana e comprensibile reazione emotiva alla sofferenza causata dal disturbo d'ansia primario.

2. Il secondo ostacolo: Terapie generiche e non personalizzate

Anche quando la diagnosi è corretta, la scelta della terapia si rivela spesso problematica. Troppo frequentemente, le decisioni non si basano su solide evidenze scientifiche. Vengono proposte combinazioni di farmaci non validate, dosaggi errati per tempi inadeguati, o interventi psicoterapeutici troppo generici e poco focalizzati.

La vera svolta terapeutica risiede nell'integrare la scienza con l'esperienza clinica per creare un progetto terapeutico personalizzato: una terapia costruita su misura per "quella" specifica persona, massimizzando le possibilità di raggiungere il 100% del benessere. 

Affrontare le obiezioni: Realismo contro Rassegnazione

So che queste parole possono suonare dure o, peggio, astratte. Sento già le obiezioni, del tutto legittime, di molti colleghi in prima linea. 

  • "Professore, è ovvio che servono diagnosi e cure corrette." Certo che lo è. Ma se è così ovvio, perché i dati ci dicono che stiamo fallendo? Il mio non è un esercizio accademico, ma un richiamo a non dare mai per scontata l'applicazione di questo principio fondamentale nella pratica quotidiana.
  • "Non abbiamo il tempo per fare diagnosi così approfondite." Questa è la critica più seria. La nostra società e il nostro sistema sanitario ci chiedono di essere veloci, privilegiando la quantità alla qualità. Ma questa non può essere una giustificazione alla resa. La mia non è un'accusa ai singoli professionisti, ma una denuncia a un sistema che dobbiamo cambiare dall'interno. In qualità di formatori e clinici, abbiamo il dovere di lottare per avere il tempo necessario a garantire un ascolto attento ed empatico, che è la base di ogni buona diagnosi. Io in primis.
  • "Questo è un modello elitario, per pochi." Al contrario. Il mio obiettivo è rendere questo standard di cura la normalità, non un lusso. L'eccellenza diagnostica e la personalizzazione terapeutica non sono vezzi accademici, ma un diritto di ogni paziente che si rivolge al sistema sanitario chiedendo aiuto.

La via d'uscita: Un nuovo patto terapeutico

La soluzione, dunque, non è solo tecnica, ma profondamente umana. Si fonda su tre pilastri inscindibili:

  1. Competenza Diagnostica: Investire senza sosta nella formazione in psicopatologia.
  2. Personalizzazione della Terapia: Integrare scienza ed esperienza per offrire a ogni paziente un percorso su misura.
  3. Alleanza Terapeutica: Creare un rapporto basato su comprensione, empatia e ospitalità. Nessuna terapia, per quanto perfetta, può funzionare senza la partecipazione attiva e fiduciosa della persona che chiede aiuto. 

Il nostro obiettivo come clinici non può limitarsi a un miglioramento parziale. Dobbiamo puntare al benessere completo, perché solo quello può spalancare di nuovo la porta alla libertà e all'autodeterminazione. È un traguardo difficile, e dobbiamo avere l'onestà di ammettere che, in alcuni casi, purtroppo, anche il massimo sforzo potrebbe non bastare. Ma non possiamo permetterci di partire con un obiettivo più basso.